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La Battaglia di Szent Gotthard-Mogersdorf, 1 agosto 1664 - Parte 1a

La Fanteria Imperiale

Nel 2014 saranno trascorsi 350 anni esatti dalla battaglia combattuta in Ungheria dagli Imperiali e dai loro alleati contro gli Ottomani e assieme all'opportunità di ripercorrere le fasi di questo cruciale scontro, l’episodio ci offre la possibilità di aprire uno spiraglio su un periodo della storia degli equipaggiamenti militari ancora poco esplorato.

Dall’arte della guerra alla guerra come scienza

“Non bisogna lasciarsi trasportare dalla temerità, perché facilmente si comincia una guerra ma difficilmente si termina”

(Raimondo Montecuccoli, Trattato della Guerra).



La battaglia di San Gottardo sulla Raab è oggi conosciuta soprattutto per la vittoria ottenuta sui turchi dal grande capitano Raimondo Montecuccoli. Malgrado con questo conflitto non siano arrivate per l’Austria significative conquiste territoriali e la pace siglata a Vasvar, pochi giorni dopo la battaglia, lasciasse pressoché inalterata la situazione preesistente, quel successo scongiurò l’invasione dell’Austria, restituì alla casa d’Asburgo fiducia nei propri mezzi e contribuì a farle riconquistare una posizione di prestigio nello scenario politico internazionale. Non si deve infine dimenticare che, arrestando l’offensiva turca, fu evitato con venti anni di anticipo un nuovo assedio a Vienna, in quel periodo quasi sprovvista di opere difensive moderne. 

Al termine della guerra dei Trent’anni l’imperatore manteneva in armi circa 25.000 uomini di fanteria, cavalleria e artiglieria. Era un numero relativamente piccolo, ma formato da soldati che avevano alle spalle molti anni di campagne, ancora sotto le bandiere perché la professione di soldato era l’unica che conoscevano: da questo primo nucleo di veterani nacque l’esercito imperiale.  Alcuni reggimenti vantavano ormai quasi trenta anni di storia e continuarono a far parte dell’esercito asburgico fino alla sua dissoluzione, avvenuta nel 1918. Si trattava, come notò la cancelleria di Vienna: “del fulcro di un valido esercito permanente” e nei quindici anni che precedettero la guerra contro l’Impero Ottomano aumentò le sue dimensioni fino a raggiungere 31.000 uomini nel 1660.

Rispetto alla guerra  divampata nel 1683 e destinata a concludersi dopo 17 anni di campagne, quello del 1663-64 ci appare come un conflitto in scala minore, combattuto da contingenti di piccole dimensioni, nel quale anche semplici operazioni, come la conquista di una modesta fortezza di legno, o l’attraversamento di un fiume vengono celebrati come risultati considerevoli. Anche le più complesse operazioni sembrano impallidire se confrontate con le imprese compiute in seguito da altri eserciti. La storiografia militare classica, condizionata dalla visione di von Clausewitz e de Jomini, ha contribuito a relegare le guerre della seconda metà del Seicento alla categoria dei conflitti di scarsa importanza, giudizio che oggi appare quantomeno discutibile. L’estenuante lentezza delle armate, l’ossessiva geometria delle manovre e la lunghezza dei conflitti ci sembrano incomprensibili se non li collochiamo nel contesto dell’Europa del XVII secolo. A quel tempo la densità di abitanti per chilometro quadrato era di gran lunga inferiore a quella di un secolo dopo. Molte contrade erano disabitate, coperte di boschi e prive di risorse utili a sostenere un’armata. Solo per rimanere come esempio sul teatro di guerra ungherese e transilvano basti considerare che, alla fine del Seicento, con ogni probabilità vivevano in quei paesi non più di 4.500.000 di abitanti; ben poca cosa rispetto ai 16.000.000 attuali e ciò senza tener conto di quelli che, come allora, popolano regioni al di fuori dei confini propriamente ungheresi. Mantenere sul teatro di guerra 30.000 soldati comportava ogni giorno il reperimento e il trasporto di non meno di 30 tonnellate di rifornimenti alimentari: le cosiddette “munizioni da bocca”, necessarie al pari delle altre alle operazioni militari. Garantire queste risorse era un problema che assillava tutti i comandanti di quel tempo, perché, anche se fossero state accantonate nei magazzini allestiti a questo scopo – come facevano da tempo gli Ottomani - era necessario farle pervenire per tempo ai reparti in regioni, come la pianura ungherese, quasi prive di vie di comunicazioni, afflitte da epidemie endemiche e costellate da ampie distese paludose che ostacolavano le operazioni di trasporto. In un teatro di guerra come quello ungherese e transilvano i rifornimenti comportavano il ricorso a un numero considerevole di animali da tiro: ancora per un’armata di 30.000 combattenti si calcolavano almeno 250 cavalli a tiro, 150 buoi e oltre 60 carri pesanti.

Il teatro di guerra degli anni 1657-64 in una stampa del Merian dal Theatrum Europeum.

Le arterie fluviali facilitavano l'afflusso dei rifornimenti ricorrendo alle navi onerarie sul Danubio e sugli altri affluenti di  sinistra – facilitati anche dalla corrente che scorreva verso sud – ma nell’Alta Ungheria e in Transilvania questa via non poteva essere sfruttata per mancanza di corsi d’acqua praticabili.

Le difficoltà nelle quali si erano dibattuti gli eserciti belligeranti durante la guerra dei Trent’anni avevano già messo in rilievo il problema dei rifornimenti: le grandi armate - in grado di archiviare a loro favore qualsiasi scontro - rappresentavano un salasso per le finanze di uno Stato, oppure finivano per
gravare sulla popolazione trasformando intere regioni in deserti; viceversa le piccole armate - che necessitavano di minori rifornimenti - non erano in grado di ottenere risultati risolutivi, perpetuando all’infinito la guerra. Quando l’esercito imperiale iniziò le operazioni contro gli ottomani, molte delle questioni precedentemente illustrate erano lontane dall’essere risolte. Per migliorare l’organizzazione e il controllo sul flusso dei rifornimenti, Montecuccoli convinse l’imperatore a rendere più flessibile la gestione dei rifornimenti, permettendo maggior autonomia ai comandanti per la scelta delle forniture ed
estendendo l’attività del commissario generale di guerra (General Kriegs-Commissär) alla verifica amministrativa dei rifornimenti. Alla vigilia della guerra contro la Porta, Montecuccoli riuscì anche a strutturare uno Obrist Proviant Amt (ufficio superiore di provianda) per il trasporto e il reperimento dei
generi di rifornimento. La cura della logistica – che Raimondo Montecuccoli identifica con un termine forse più efficace: l’apparecchio – richiese notevoli sforzi, tanto organizzativi che finanziari. In quegli anni non esistevano ancora i forni da campo (tipo quelli introdotti pochi anni dopo dall’esercito del Re Sole) e fu pertanto necessario organizzare una rete di fornai lungo il tragitto di marcia. Per la campagna del 1664, dopo che anche questo metodo non aveva dato buoni frutti e, anzi, tendeva a favorire le frodi, furono acquistate a Venezia svariate tonnellate di biscotto da nave, più semplice da conservare, per integrare il pane da munizione. Tutte le difficoltà furono superate non senza sacrifici e contro l’ostilità dei suoi detrattori, ma con straordinaria perizia e grande talento, Montecuccoli riuscì in tempi ragionevolmente brevi a rendere operativo un sistema organizzativo che nell’esercito imperiale era destinato a durare per oltre due secoli.

L’alba dell’uniforme
“… molti commentatori confondono il termine uniforme. Spesso il problema nasce quando ci si imbatte nel termine 'ufficiale' o 'cavaliere' associato a un ritratto. Queste definizioni designano anche uno status delle classi medio-alte della società di quegli anni (la seconda metà del Seicento). Alcuni dipinti ritraggono nobili nella loro apparenza di soldati, con il relativo copricapo piumato, stivali, spada e guanti; ma questi lavori illustrano non una vera uniforme, bensì l’incrocio fra l’abbigliamento civile e quello militare. Per un aristocratico di quel tempo, dopo tutto, c’era normalmente da attendersi che montasse in sella e accorresse alla difesa dello Stato e del sovrano, e ciò non era solo una vestigia dell’epoca feudale. L’uniforme degli anni fra il 1650 e il 1670, almeno per il significato che noi diamo oggi a questa parola, sarebbe più logico definirla una non uniforme. (John Mollo, Military Fashion: A Comparative History of the Uniforms of the Great Armies from the 17th Century to the First World War;1972).


Identificare rapidamente le truppe del proprio schieramento era una necessità che risaliva molto indietro nel tempo, tuttavia è soltanto nel XVII secolo, con lo sviluppo degli eserciti permanenti e grazie al progresso della tecnologia manifatturiera, che compaiono più o meno in tutta Europa reparti abbigliati ed equipaggiati in maniera uniforme. Anche se oggi non si ritiene universalmente valido il concetto che le prime uniformi militari siano state introdotte da Gustavo Adolfo negli anni ‘30 del Seicento, è però vero che certi accorgimenti e soluzioni messe a punto dall’esercito svedese abbiano costituito un modello di riferimento per molti altri paesi. 
Il primo documento che testimonia l’adozione di un abbigliamento identico per tutti soldati di una determinata unità dell’esercito di casa d’Austria risale al 1645 e si tratta di una lettera di commessa firmata dal conte Matteo Galasso, relativa alla fornitura di giubbe e calzoni per il suo reggimento di fanteria, conservata a Vienna fra gli Alte Feldakten dell’archivio di guerra austriaco. Per maggiore precisione il conte incluse pure un campione di stoffa grigio chiaro (blassgrau = grigio pallido, nel testo originale) da impiegarsi per la preparazione dei capi d’abbigliamento. Inoltre egli inviò dei modelli delle fiasche da polvere e delle cartucciere ai fornitori locali, incaricati di produrne 600 pezzi di ciascun tipo. E’ una vera rarità che nel documento si citi esplicitamente il colore del tessuto, infatti questi documenti, spesso di carattere amministrativo, riportano le quantità dei singoli pezzi o la spesa per la realizzazione degli stessi e tacciono circa la foggia, i materiali o altre informazioni utili che invece vengono 
completamente omesse. Anche quando sono allegati, i campioni originali non sempre sopravvivono integri, oppure hanno radicalmente cambiato colore. In altre circostanze le informazioni contenute nei

documenti originali non ci permettono di capire di quali colori si tratti, poiché sono identificati con termini il cui significato oggi ci è ignoto: se il panno focato è verosimilmente un rosso – scarlatto o carminio? – molti dubbi persistono nell’identificazione del marengo scuro oppure del cappuccino.

Regiment zu Fuss Sparr; Musketier, 1663
Parlare di uniformi militari della metà del XVII secolo significa agire per due terzi sulla base di analogie e per il restante affidarsi all’istinto dell’archeologo. Dovranno trascorrere ancora molti anni prima di trovare trascritti con maggior precisione i dettagli dell’abbigliamento e dell’equipaggiamento dei soldati, attraverso la diffusione dei Regolamenti compilati dai colonnelli: solo da allora è possibile parlare di uniformologia in senso stretto. Grazie a qualche documento miracolosamente rinvenuto negli archivi di guerra, o in quelli delle famiglie aristocratiche, si può provare ad aprire uno spiraglio nell’oscurità che avvolge questo periodo della storia degli equipaggiamenti da guerra. Dallo studio di una minuta datata 3 febbraio 1663, relativa alla confezione di capi d’abbigliamento e di equipaggiamento destinati al reggimento di fanteria del Feldmarschall-Lieutenant Wladislaw von Sparr, si può ricostruire con sufficiente approssimazione l’abbigliamento destinato ai soldati di questa unità, che si trovava con l’armata d’Ungheria già dal 1661. Il “panno di Iglau” (l’odierna Jihlava nella Repubblica Ceca) citato nel documento allude non solo alle caratteristiche della tessitura ma, con ogni probabilità, al colore grigio perla tipico delle manifatture morave. Per i propri uomini il barone non deve aver badato spese, poiché del traliccio (in italiano nel testo) giallo era stato fatto arrivare da Firenze e questo particolare tessuto di lino era comunemente adoperato nel XVII secolo per la realizzazione delle calze.
(Ricostruzione da illustrazioni coeve di Bartholemeus Kilian per il Militaresche Lexikon, 1663)

Questa indeterminatezza non deve sorprenderci più di tanto, poiché l’obiettivo che ci si prefissava allora era quello di ottenere un abbigliamento uniforme, e non di regolarizzare un’uniforme, concetto che in quegli anni - di fatto - non esisteva.

Con un po’ di fortuna si possono comunque trovare in altre fonti delle indicazione sul tipo di materiale prescelto per la realizzazione degli abiti. Nel suo Diario sulla Guerra (dei Trent’anni), pubblicato nel 1651, Hans Conrad Lavater, capitano di fanteria nativo di Zurigo, consigliava ai suoi colleghi ufficiali di far indossare ai propri uomini indumenti pratici: scarpe robuste con la suola chiodata; brache di lana; calze a traliccio; almeno due camicie pesanti in inverno; una giacca di pelle scamosciata; un mantello di lana a doppio panno per proteggersi dal vento e dalla pioggia e un ampio cappello di feltro. Gli abiti dovevano essere tagliati molto ampi, per essere più caldi, consigliava Lavater, ma senza imbottiture e con poche cuciture per non offrire terreno fertile ai parassiti. Ma anche in questo caso resta molto difficile determinare con certezza le tipologie, le fogge e gli eventuali accessori impiegati, se non ricorrendo all’iconografia esistente.

In effetti  illustrazioni e raffigurazioni certe di soldati imperiali negli anni compresi fra il 1655 e il 1665 sono purtroppo molto rare. Si può dire che di tutta   l'’iconografia esistente riguardo uno degli eserciti più ricchi di tradizione del mondo, quale fu quello austro-ungarico, quella prossima all’epoca della battaglia
di Szent Gotthard si riduce a due o tre fonti al massimo(1). Infelice caratteristica di questa iconografia è che quasi tutta è riprodotta in bianco e nero (!). Relativamente più numerosi sono i ritratti di ufficiali, raffigurati però convenzionalmente in armatura completa, cosa di scarsa utilità per chi combatteva a piedi. Di riflesso è straordinariamente copiosa la rappresentazione di fanteria e – soprattutto – di cavalleria nei dipinti di battaglie, un genere fiorito a partire dalla seconda metà del Seicento, proprio sull’onda dell’impressione suscitata dai fatti accaduti nelle guerre contro i turchi. Malauguratamente queste opere non sono quasi mai storicamente attendibili, poiché i pittori assai di rado furono testimoni oculari degli scontri e spesso usavano modelli generici o si affidavano a riferimenti di maniera. Solo quando il committente del dipinto era un ufficiale che aveva partecipato a qualche campagna in Ungheria, si può ragionevolmente sperare di ricavare qualche informazione utile dall’aspetto in battaglia dei soldati raffigurati. Della battaglia di Szent Gotthard sono giunti fino a noi tre dipinti realizzati sulle indicazioni degli ufficiali presenti allo scontro; due sono conservati a Vienna e uno in Baviera, ma in tutti i casi è la cavalleria che fa la parte del leone. Altro materiale iconografico di valore proviene ancora dalla pittura coeva alla battaglia, soprattutto quella di artisti attivi anche in Germania e Austria, quali ad esempio Gerhard Ter Borch, che ci hanno lasciato accuratissime immagini di soldati di quegli anni. Non sempre però la certezza che quelli raffigurati siano soldati imperiali è comprovata. Non altrettanto numeroso, ma comunque in buone condizioni, è il materiale originale, costituito il più delle volte dalle sole armi o dall’equipaggiamento. Esistono anche disegni di soldati di fanteria austriaca realizzate molti anni dopo, specie nell’Ottocento, quando iniziarono a essere pubblicate le storie reggimentali. In quelle delle unità più antiche compaiono dei figurini risalenti agli anni della guerra del 1660-64; tuttavia l’autenticità di certe ricostruzioni lascia aperti numerosi dubbi. Periodicamente, specie in coincidenza con gli anniversari della battaglia, venivano pubblicati articoli e illustrazioni dei soldati che parteciparono alla battaglia, ma anche queste fonti non sono particolarmente numerose e spesso di difficile reperibilità e consultazione (2).
Da tutte questa composita serie di informazioni sulla fanteria imperiale si può osservare una notevole varietà di fogge, che conferma come anche in Austria l’abbigliamento si trovasse in un periodo di transizione. Negli anni successivi al 1660 era avvenuto un marcato  
cambiamento della moda maschile, che presto finì per riflettersi anche nel costume militare. In quel periodo iniziano a consolidarsi stili e fogge caratteristiche, che convivono ancora per qualche tempo con tipologie ed equipaggiamenti risalenti alla guerra dei Trent’anni, ma la trasformazione più importante riguarda la parte alta della figura umana e l’elemento destinato a segnare il passaggio fra le due epoche è la forma del colletto - specie quello della camicia - che rapidamente diminuisce di dimensione, lasciando il posto alle prime cravatte o, specie per gli ufficiali, ai voluminosi rabat ricamati.



1) La serie di 13 incisioni di Bartholomeus .Kilian per il “Kriegs Lexikon”, pubblicato a Praga nel 1663; le illustrazioni del Kriegsbuchliches Waffenhandlung pubblicato a Norimberga nel 1663 e gli ultimi disegni di Stefano della Bella.



2) Le più ragguardevoli sono le tavole realizzate dall'illustratore austrico Karl Alexander Wilke, pubblicate negli  anni Sessanta dalla rivista  Die Mölkerbastei.

Regiment zu Fuss Portia, Pikenier, 1665 ca.
Grazie a una copia ottocentesca di un acquerello del XVII secolo, ora perduto, conservata nella biblioteca dell’Archivio di
Guerra Austriaco, si possono conoscere abbigliamento e equipaggiamento di un picchiere imperiale alla metà degli anni ’60
del Seicento. Il reggimento Portia, però, non partecipò alle campagne contro i Turchi in Ungheria del 1663-64, ma fu inviato
in aiuto alla Spagna durante la guerra contro la Francia nel 1667-68. Non è tuttavia improbabile che i picchieri imperiali sotto Montecuccoli adottassero una tenuta simile a questa.

Colori: giacca corta, calzoni e calze rosso carminio; elmo e tutte le parti metalliche in acciaio nero verniciato;
piumetto giallo-blu; calzature e cinture in pelle naturale con accessori in ottone; asta della picca dipinta a spirali giallo-blu.

In quegli anni le ampie giacche di stoffa di derivazione svedese non hanno del tutto rimpiazzato le giubbe di pelle – specie fra i moschettieri e fra i sottufficiali – né sono diventate ancora il juste-au-corp alla francese, che si imporrà entro pochi anni in tutto l’Occidente. Il panno di lana è comunque destinato a sostituire il cuoio e i pellami, ora che la possibilità di adottare colori diversi è un’opzione adottata dagli eserciti di tutta Europa. Le brache mantengono una certa ampiezza, oppure si fanno affusolate, ma terminano tutte al ginocchio, arricchendosi di accessori e nastri alle estremità; in Austria diverranno comuni specie fra i soldati, le brache di pelle, le quali si continueranno a indossare fino ai primi anni del Settecento. Grande è anche la varietà delle calze, indossate a volte anche una sopra l’altra. Il mantello è presente nell’abbigliamento dei soldati e più spesso degli ufficiali; portato sopra l corpetti a farsetto possiede ancora la foggia della cappa a tracolla assai in voga per tutta la prima parte del secolo. Il copricapo preferito è ancora il largo capello di feltro; nei paesi di casa d’Austria è più comune quello con la sommità rotonda e non troppo alta, ma anche quello più alto “alla puritana” – di provenienza olandese – inizia a circolare con una certa frequenza.
L’armamento è lo stesso della prima metà del secolo, in molti reggimenti è ancora in uso l’archibugio. Alcuni capitani fanno modificare la forcella trasformandola in uno spuntone che, una volta unito assieme ad altri, forma un utile cavallo di Frisia, adatto a difendersi da un nemico, come quello Ottomano, che schiera una cavalleria assai numerosa. Le armi difensive metalliche sono indossate ancora dal corpo ufficiali, e si limitano spesso a una gorgiera, e dai picchieri che portano l’elmo a  orione, corazza con petto e schiena e, specie dai primi ranghi, le scarselle a scaglie fino al ginocchio; la brunitura del metallo appare già in quegli anni come una caratteristica ben consolidata dell’esercito asburgico.


                                                                                                    

Raimondo Montecuccoli

Da Galeotto Montecuccoli e da Anna Bigi nasce il 21 febbraio 1609 Raimondo, nel castello di Montecuccolo, dove visse i primi anni della sua infanzia. Le finanze del conte Galeotto non erano floride, ma il bambino ricevette una buona educazione, col precettore che gli insegnò a leggere e a scrivere in italiano e in latino, gli donò i precetti del cattolicesimo e gli mostrò le buone maniere necessarie a un gentiluomo.
Nel 1619 morì il padre. La morte del genitore rappresentò per il giovane Raimondo un’esperienza molto forte, e fu uno stimolo per i suoi desideri futuri. Raimondo a 15 anni era maturo, intelligente, vivace, avido di sapere; era sinceramente religioso, ma l’idea di abbracciare la carriera ecclesiastica, consigliato da alcuni parenti, non si confaceva al suo temperamento. Dedicava il tempo quasi  
interamente allo studio; i suoi diversivi preferiti erano l’equitazione e la scherma, nei quali eccelleva. Con una prova di carattere, che è la prima manifestazione della forte personalità, Raimondo dichiarò apertamente al duca di Modena la sua contrarietà alla vita ecclesiastica.

Nell’estate del 1625 Raimondo parte per l’Austria per fare ingresso nel reggimento di Rambaldo Collalto, per intercessione di suo cugino Ernesto, ufficiale in Germania nell’esercito dell’imperatore. Deve però accettare le condizioni imposte dal colonnello: nessun privilegio, nessuna esenzione e nessun salto di grado, nonostante le credenziali. Cominciò dunque la sua carriera da soldato semplice, rinunciando per il momento al grado di alfiere, al quale avrebbe potuto aspirare in forza del titolo di conte. Ma in breve raggiunse il grado di capitano e successivamente la patente di colonnello e la proprietà di un reggimento di corazzieri. I contemporanei lo descrivono avidissimo del sapere in ogni campo; Montecuccoli  si dedica agli studi i periodi di tregua fra le campagne e i viaggi compiuti in tutta la Germania e la Boemia, leggendo di giorno e di notte. Catturato dagli svedesi a Lützen, durante la prigionia scrive il “Trattato della Guerra “ ed i “Quaderni” pieni di appunti di cui è rimasto solo il “Delle Battaglie”, ai quali seguono dopo la guerra dei trent’anni: “I Viaggi”, “Lo Zibaldone” e la trasformazione del “Trattato della Guerra” in “Trattato dell’Arte della Guerra”. Dopo la battaglia della Raab scrive la sua opera maggiore: “Della Guerra Contro il Turco in Ungheria” e i famosi “Aforismi”. Principe dell’Impero e capo supremo dell’esercito, combatte le sue ultime campagne sul Reno, contro i Francesi, opposto a un’altro grande comandante del tempo, il maresciallo Henry de la Tour d’Auvergne, visconte di Turenne.
Montecuccoli muore a Linz il 16 ottobre del 1681, a 71 anni; è sepolto a Vienna nella Chiesa dei 
Gesuiti.                                                                                                          

Un realistico squarcio di vita della fanteria alla metà del XVII secolo. Dopo il 1650 le giacche di pelle diventano più
rare, sostituite rapidamente dalle giubbe di panno. Il grigio, nelle diverse tonalità, rimarrà il colore più diffuso ancora per molti anni.
Il saccheggio, dipinto di Jakob Duck (Paesi Bassi; 1600 – 1667)

Organici Reggimentali - la fanteria imperiale nella guerra del 1663-64 



Al tempo delle battaglia di Szent-Gotthard il reggimento di fanteria imperiale ‘sul piede tedesco’ era formato da 10 compagnie. Lo stato maggiore di ciascuna di esse si componeva a questo modo:

1 Hauptmann (capitano)
1 Lieutenant (tenente)
1 Fahnrich (alfiere)
1 Feldwebel (sergente maggiore)
2 Führern (sergenti)
1 Musterschreiber (segretario scrivano)
1 Feldscherer (infermiere)
1 Gefreiter-Corporal (caporale-esente)
8 Corporalen (caporali)
10 Gefreiten (esenti)
6/8 Spielleuten (musicanti)
173 Gemeine (soldati semplici)


Nel 1661 Montecuccoli portò il numero dei moschettieri in ciascuna compagnia a 98 uomini (compresi  6 Gefreiten).

Lo stato maggiore di un reggimento era così formato:

1 Obrist (colonnello)
1 Obrist Lieutenant (luogotenente colonnello)
1 Obrist Wachtmeister (maggiore)
1 Caplan (cappellano)
1 Quartiermeister (quartiermastro)
1 Regiment Schultheiss (amministratore)
1 Profoss “cum suis” (prevosto con 8 – 10 guardie)


La prima compagnia era denominata Leib-Kompanie; la seconda prendeva il nome di Obrist Lieutenant Kompanie e la terza Obrist Wachtmeister Kompanie. Le compagnie ordinarie erano identificate anche col nome del capitano. La forza totale di un reggimento a organici completi era pari a 2.021-2.023 uomini.
In campagna un reggimento al completo schierava almeno due battaglioni, la cui forza, secondo quanto indica lo stesso generale italiano, non doveva essere inferiore a 800 uomini. Non era infrequente però che i reggimenti fossero molto al di sotto della forza stabilita, in quel caso la fanteria veniva ripartita in 
battaglioni di un numero eguale di uomini, anche se provenienti da compagnie di reggimenti diversi.

                                                                                                 

Contrariamente a molti suoi colleghi dei Paesi Bassi, Gerard Ter Borch (1617-1681) fu molto attivo anche all’estero. Egli soggiornò infatti in Inghilterra, Italia, Spagna, Austria e Germania; nel 1648, a Münster, ricevette l’incarico di realizzare un dipinto sulla cerimonia della pace di Westfalia. Nonostante la lontananza dal proprio paese, Borch rimase stilisticamente un pittore fiammingo, continuando a privilegiare nelle sue opere il realismo, arricchendolo con risvolti psicologici ottenuti con la scelta delle posizioni dei soggetti e della luce degli interni. La chiarezza dei suoi dipinti costituisce un’ottima fonte di documentazione sull’abbigliamento e l’equipaggiamento dei soldati nella seconda metà del Seicento.

- Cronologia dei principali avvenimenti dal 1657 al 1661.
                                                                                                                                                      1657
6 gennaio: il gran principe di Transilvania György II Rákóczi muove la sua armata al confine polacco per unirla alle forze svedesi di Carlo X nella guerra contro la Polonia.
7 aprile: i transilvani occupano Cracovia. L’obiettivo di Rákóczi di diventare re di Polonia sembra alla sua portata.
25 maggio: l’intervento danese costringe Carlo X di Svezia a dividere le sue forze e rientrare a Stoccolma;
l’esercito transilvanico si sposta a Varsavia.
Giugno: contingenti tatari pagati da Istanbul sono inviati in soccorso dei polacchi.
27 luglio: Rákóczi lascia Varsavia e rientra con una piccola scorta nei suoi possedimenti.
14 agosto: i polacchi riconquistano Cracovia.
15 agosto: prima incursione dei tatari in Transilvania.
2 novembre: la minaccia tatara e le pressioni della Porta spingono la dieta di Transilvania a dichiarare decaduto György II Rákóczi.
                                                                                                                                                       1658
11 gennaio: il nuovo gran principe di Transilvania Ferenc Rhédey è rovesciato dai sostenitori di Rákóczi..
3 maggio: il gran visir Mehmed Köprülü mobilita l’esercito per un intervento in Transilvania e rimuovere il gran principe.
18 luglio: Leopoldo d’Asburgo è eletto Re dei Romani e succede al padre Ferdinando III alla carica di imperatore del sacro Romano Impero Germanico.
26 luglio: i transilvani sconfiggono un corpo ottomano a Lippa.
14 settembre: il gran visir insedia come nuovo gran principe Ákos Barcsay in opposizione a Rákóczi.
Settembre-ottobre: nuove devastanti incursioni dei tatari in Transilvania che deportano più di 100.000 civili.
                                                                                                                                                       1659
Primavera: i due contendenti al trono di Transilvania reclutano i loro contingenti.
25 luglio: Rákóczi sconfigge Barcsay a Gorbó
22 novembre: Ahmed Seidi, pascià di Buda, sconfigge Rákóczi. a Zajkány e a Torda sei giorni dopo.

                                                                                                                                                       1660
7 gennaio: l’esercito di Rákóczi assedia Barcsay e le sue truppe nella fortezza di Szeben.
22 maggio: Rákóczi abbandona l’assedio di Szeben incalzato dagli ottomani guidati da Ahmed Seidi.
28 maggio: Ahmed Seidi sconfigge i transilvani di Rákóczi a Szászfenes.
30 maggio: l’imperatore invia sul confine transilvani un corpo di truppe agli ordini del generale Ludwig von Souches.
7 luglio: György II Rákóczi muore a Várad in seguito a una ferita accidentale.
4 luglio: gli ottomani assediano i resti dell’esercito transilvano a Várad; la città si arrende 45 giorni dopo.
Estate: primi contatti fra emissari transilvani e la corte di Vienna per ottenere aiuti contro La Porta.
Autunno: János Kemény, luogotenente di Rákoczi, riorganizza un esercito con il sostegno dell’imperatore.
30 novembre: scontro di Örményes favorevole alle truppe di Kemeny contro i partigiani di Barcsay.
                                                                                                                                                      1661
1 gennaio: la dieta di Transilvania elegge János Kemény nuovo gran principe.
Inverno: primi casi di peste in Ungheria; l’epidemia terminerà nel 1666.
28 giugno: un corpo di truppe ottomano arriva in Transilvania per sostenere Barcsay.
5 luglio: Barcsay è assassinato dai sicari di Kemény.
Luglio: il comando delle truppe imperiali in Ungheria è affidato a Raimondo Montecuccoli.
14 settembre: gli ottomani insediano una nuova dieta e fanno eleggere Mihály Apafi. gran principe di Transilvania, riconosciuto anche dalle comunità sassoni
Novembre: le truppe di Kemény si uniscono al corpo imperiale in marcia verso Kolosvár in territorio transilvano.
18 novembre: la notizia dell’elezione di Apafy, l’ostilità della popolazione e le precarie condizioni logistiche 
inducono Montecuccoli a trasferire l’esercito in Ungheria.

Fine della prima parte.

Le Mie Tre Vite

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