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​La Battaglia di Szent Gotthard-Mogersdorf, 1 agosto 1664 - Parte 2a

La Cavalleria e l'Artiglieria Imperiali

Nel corso della sua plurisecolare storia, la Casa d'Austria si scontrò con l'Impero Ottomano in otto diversi conflitti, ma fino al 1660 l’imperatore aveva affrontato il 'nemico ereditario' solo in altre due occasioni: nella lunga guerra del 1526-68 e successivamente nel conflitto del 1592-1606. Entrambi i confronti erano stati combattuti sul medesimo teatro di guerra, l’Ungheria, la Croazia e la Transilvania.

Ogni volta gli Ottomani avevano minacciato Vienna (nel 1529 cinsero d’assedio per la prima volta la capitale) e si erano spinti con le scorrerie in Austria, Stiria, Carnia e Moravia. Anche se l’obiettivo di conquistare la capitale austriaca era fallito, alla fine la Porta aveva sempre prevalso; tre quarti dell’Ungheria erano governati da un pascià inviato da Istanbul mentre agli Asburgo era rimasta solo una sottile striscia di territorio a nord della Drina e della Raab, continuamente esposta alle incursioni nemiche. Anche quando le conquiste territoriali ottenute erano state modeste, il sultano aveva sempre
imposto condizioni politiche per lui vantaggiose; con la pace di Szitva Törok del 1606 aveva perfino ottenuto da Vienna il pagamento annuale di un tributo di 30.000 talleri.
Considerati queste trascorsi, a Vienna si viveva con comprensibile timore l’ipotesi di un conflitto su larga scala contro l’Impero Ottomano. L’imperatore Leopoldo I era salito al trono nel 1658 e aveva inaugurato una politica tesa a restituire alla casa d’Asburgo il prestigio internazionale. La cancelleria viennese, guidata da Franz von Lisola, assecondava lo slancio del giovane monarca, ma non mancavano le divergenze di opinione riguardo i modi e soprattutto sull’assunzione dei rischi derivanti da questo tipo di politica. L’imperatore era però sostenuto da un’incrollabile fede religiosa che lo
spingeva a concepire il suo mandato come una missione divina da compiere a ogni costo; inoltre - in opposizione a von Lisola - il principe Johann Karl von Portia, gran maggiordomo e principale consigliere dell’imperatore, spingeva per una ripresa delle ostilità con la Porta.
L’intervento in Transilvania rappresentava per Vienna l’opportunità di occupare una posizione strategicamente rilevante nella regione. Grazie alla sua posizione geografica il possesso del principato permetteva di controllare l’alta Ungheria e contemporaneamente garantiva uno sbocco verso la Moldavia e la Valacchia, due stati che mostravano apertamente quanto poco fosse sincera la loro fedeltà a Istanbul. Piantare i rostri dell’aquila imperiale in quelle province significava anche ribadire il primato di casa d’Austria nei confronti della turbolenta nobiltà calvinista magiara, di gran lunga maggioritaria in
quegli anni rispetto a quella cattolica. Ma per avere qualche possibilità di successo contro gli Ottomani era necessaria una rapida conclusione delle operazioni belliche, evenienza che la corte austriaca riteneva probabile, considerato che - contemporaneamente a questa guerra - dal 1645 il sultano ne stava combattendo un’altra a Creta contro Venezia e anche a oriente, sul confine con la Persia, il rischio di una ripresa delle ostilità con i Safavidi poteva scoraggiare la Porta a inasprire la lotta in Transilvania. Ma Istanbul non si fece intimorire e, purtroppo per Vienna, riaprì il confronto con rinnovata energia.

Il cavaliere di ferro contro il cavaliere leggero


Numericamente inferiori alla cavalleria degli ottomani, gli imperiali e i loro alleati furono costretti a escogitare nuove soluzioni per contrastare gli avversari, in special modo durante le ricognizioni, nella scorta ai convogli e per difendersi dalle improvvise e temutissime scorrerie dei cavalieri tatari. La cavalleria
leggere croata e ungherese poteva sostenere agevolmente parte di questi compiti, ma - dopo il 1663 – venne meno il prezioso contributo degli ussari del bano di Croazia Miklos Zriny, i cui uomini erano impiegati in un altro settore del teatro di guerra e ciò finì per aggravare ulteriormente il divario numerico con i turchi in quanto a cavalleria. I corazzieri degli eserciti dell’Europa occidentale usavano ancora protezioni di metallo in gran quantità ed erano capaci con la forza d’urto di scompaginare gli avversari caricando in ordine serrato. Difficilmente, però, potevano competere con i più leggeri cavalieri turchi nelle scaramucce e in tutte quelle azioni di disturbo con le quali gli ottomani cercavano di sfiancare gli avversari. Per operare efficacemente nelle azioni che richiedevano la massima mobilità, i corazzieri dovettero rinunciare alla corazzatura e adottare formazioni di combattimento ad hoc.  A questo modo iniziarono a operare in piccoli gruppi, i Beretischaft , formati ciascuno da 20-30 cavalli, distanti 100 passi l’uno dall'altro  ma in grado di riunirsi rapidamente in caso di attacco. Ciò permetteva 
dell’armata. Per ogni manipolo vi erano due corazzieri che procedevano a una cinquantina di passi più avanti e, qualora si fossero avvistati nemici, il primo cavaliere si arrestava e continuava a scrutarne le mosse, mentre il secondo si ricongiungeva al drappello per fare rapporto al diretto superiore. Sui terreni frastagliati, dove la carica al galoppo non avrebbe potuto dispiegarsi agevolmente, furono messe a punto formazioni di combattimento a dir poco singolari. Per far fronte alla insidiosa tattica dei cavalieri turchi, i quali cercavano sempre di colpire i fianchi e le spalle dello schieramento, fu addirittura introdotta come formazione difensiva il quadrato di cavalleria. A parziale vantaggio imperiale vi fu
comunque la maggiore potenza di fuoco dei corazzieri, sempre equipaggiati con pistole da fonda e carabine, pur ricorrendo a dotazioni non sempre modernissime. Ma anche con queste contromisure il confronto con la cavalleria degli ottomani si rivelò impegnativo. Nell’estate del 1663, il Feldmarschall
von Sporck guidò un corpo di un migliaio corazzieri all’inseguimento dei tatari che si erano spinti nell’alta Ungheria. Seguendo le tracce “…quasi strisce di fulmine” lasciate dai cavalieri orientali, gli uomini di von Sporck giunsero a poche ore di marcia dal grosso degli avversari ma, nonostante il serrato
inseguimento, non fu possibile isolarli e disperderli e al termine di tre settimane di scorrerie i tatari poterono rientrare senza gravi perdite alle loro basi.

 

I dragoni costituivano una relativa novità nell'esercito di casa d’Austria, tuttavia se essi erano essenzial ente dei fanti che combattevano a piedi ma si spostavano a cavallo, adesso – specie dopo quanto si era sperimentato in Svezia e in Francia – stavano trasformandosi in soldati capaci di operare tanto come cavalieri che come fanti. Questa nuova impostazione fu rapidamente adottata anche nell'esercito imperiale, considerata la cronica inferiorità numerica di cavalleria nei confronti dei turchi.
Particolarmente rinomati come comandanti di dragoni erano gli ufficiali lorenesi e sicuramente non era un caso se in quegli anni i colonnelli proprietari - e pure molti dei quadri ufficiali - dei reggimenti di dragoni imperiali provenivano dal ducato di Lorena.
La cavalleria era ancora la componente più pregiata dell’esercito ma anche la più onerosa per le casse dello stato, ragion per cui la percentuale complessiva non crebbe molto negli anni di guerra; inoltre, essendo impossibile poter competere numericamente con gli ottomani, le risorse furono destinate soprattutto alla creazione di nuove unità di fanteria. Nel 1661 a fronte di 13 reggimenti a piedi, l’imperatore schierava 9 reggimenti di corazzieri, 2 di dragoni e 1 di croati; prima della fine della guerra vennero creati altri 15 reggimenti di fanteria, ma solo 3 di corazzieri e 1 di dragoni.

Il conte Johann von Sporck (1595-1679) rivestiva il grado di comandante della cavalleria imperiale alla battaglia di Szent Gotthard. Sporck era un veterano della guerra dei Trent’anni e nonostante l’età avanzata dimostrò straordinaria energia e abilità come comandante di cavalleria. Egli partecipò in seguito alla lotta contro gli insorti ungheresi nel 1672 e infine alla guerra contro la Francia fino al 1675.
 

Taschetto, corazza e Koller, l’uniforme dei corazzieri imperiali


L’imbottitura delle corazze era da secoli composta da pelli. Per la sua caratteristica di elasticità e resistenza la pelle, opportunamente conciata, era in grado di proteggere efficacemente il cavaliere dai colpi di taglio e poteva quindi sostituire il metallo, ormai sempre meno utile su campi di battaglia dove le armi da fuoco stavano rapidamente diffondendosi. Verso la metà del XVII secolo le caratteristiche di protezione offerte dalla pelle presero forma in uno  specifico capo d’abbigliamento militare: il colletto - da cui il Koller dell’area austro-tedesca.
A parte i Koller realizzati con pelle di daino, alce o cervo e provvisti di imbottiture composte da polvere d’ambra e erbe profumate – come quelli  appartenuti al generale don Mattias de’Medici – quelli dei corazzieri imperiali erano in pelle di bovino, formati per il corpo da sette parti, normalmente di maggior spessore sulle porzioni anteriori, e dalle maniche, a volte lunghe solo fino al gomito e altre volte realizzate da strisce alternate di stoffa e cuoio. Più spesso dei bottoni, dei semplici lacci chiudevano le falde sul davanti fino alla vita, ma questi restavano coperti quando il cavaliere indossava la corazza,
formata da un corsaletto con petto e schiena; anche il braccio sinistro poteva occasionalmente essere ulteriormente protetto da una manopola straordinaria. La protezione per la testa era un altro elemento inconfondibile dell’equipaggiamento della cavalleria imperiale, lo Zischägge – taschetto – che in Austria era spesso del tipo all’orientale. Altra caratteristica ormai consolidata nella cavalleria di casa d’Austria, era il colore tipico delle parti metalliche, ottenuto dipingendo di nero e quindi verniciando con una finitura protettiva il metallo, per restituirgli la naturale lucentezza. Non erano infrequenti tuttavia corazze, taschetti e altri armi protettive in metallo semplicemente dipinte di nero o marrone scurissimo. La vera e autentica brunitura era infatti un processo di lucidatura che consisteva nel passare sulla superficie metallica uno strumento - il 
‘brunitoio’ - munito di una pietra dura (spesso un’agata) che conferiva al metallo una lucentezza compatta e un tono molto più caldo, da cui ‘brunire’. Il metodo della brunitura era molto faticoso e richiedeva perizia e pazienza. L’artigiano faceva scivolare la pietra del brunitoio premendola sul metallo; inoltre la superficie doveva essere costantemente ingrassata (ad esempio con della glicerina) in modo che la pietra scivolasse bene. La brunitura si usava sulle superfici metalliche già lavorate e per quelle parti la cui forma non permetteva un lavoro agevole si ricorreva al pennello. E’ perciò facile comprendere perchè le autentiche corazze brunite fossero ad appannaggio di pochi e facoltosi aristocratici, mentre ai corazzieri comuni si riservavano delle protezioni metalliche semplicemente dipinte.
 

 

Gemeiner Kurassier e Obrist-Commandant, 1663-64.
La rinuncia alle protezioni metalliche fu uno dei principali accorgimenti adottati dai corazzieri durante le campagne contro i turchi in Ungheria e in Transilvania. A parte la relativa omogeneità dell’equipaggiamento e
dell’abbigliamento dei corazzieri imperiali, nella seconda metà del XVII secolo non esistevano ancora segni distintivi per il riconoscimento dei reggimenti. Spesso all’interno delle unità si usava identificare le compagnie con piumette sui copricapo. Un’altra opzione per riconoscere i reparti consisteva nel riunire nelle compagnie - e in certi casi in reggimenti – i cavalli dello stesso colore. I colonnelli dell’esercito imperiale ricoprivano normalmente incarichi di generali nello stato maggiore, oppure detenevano solo la proprietà nominale del reggimento, senza cioè ricoprire incarichi operativi. Spesso i titolari dei reggimenti nominavano un loro luogotenente, con funzioni di comandante sul campo.
(Ricostruzione da dipinti coevi; la coperta di sella è speculativa)

 

L’Artiglieria



Nella prima metà del Seicento si erano formati i primi eserciti permanenti, più o meno tutti composti da soldati professionisti, e si era completato un processo iniziato nel secolo precedente, attraverso il quale la professione di soldato era diventata un’occupazione di rilevanza sociale del tutto nuova. Secondo l’opinione di molti storici fu proprio la possibilità di mettere a frutto le conoscenze tecniche, l’efficacia delle tattiche e la consapevolezza della maggiore importanza assunta dall’organizzazione complessiva delle armate, a permettere alla classe militare del Seicento di occupare un ruolo da protagonista nella storia dei maggiori paesi d’Europa. Ormai tutti si erano persuasi che anche l’umile recluta poteva innalzarsi al di sopra della sua nascita grazie all’occupazione nell’esercito e al prestigio che da questa poteva derivare. Nella seconda metà del XVII secolo il mestiere delle armi conobbe un’ulteriore trasformazione, quando dagli eserciti composti da soldati professionisti si giunse a quelli formati da specialisti. E, senza alcun dubbio, arma specialistica per eccellenza fu nel Seicento l’artiglieria.
In tutta Europa l’artiglieria continuerà a mantenere a lungo una dimensione autonoma dal resto dell’esercito, destinata a prolungarsi fino al XVIII secolo. Nell’armata imperiale si usavano termini, funzioni e addirittura gradi e qualifiche del tutto differenti dalle altre armi; il comandante dell’artiglieria:
il General Feldzeug-Meister, non sottostava agli stessi obblighi degli altri ufficiali superiori e anche i suoi subordinati non erano soggetti all’autorità di altri comandanti. Tutto il personale addetto costituiva una corporazione professionale chiusa e spesso manteneva il suo particolarismo tramandando il mestiere all’interno di un numero limitato di famiglie, divenute col tempo vere e proprie dinastie di artiglieri. Per la composizione del corpo non vi erano quadri e unità definite come le compagnie per la fanteria e la cavalleria, ma si formavano gli organici a misura del treno allestito per la campagna. Nel 1660
figuravano nel personale del corpo di artiglieria anche membri di quello che più propriamente si sarebbe considerato personale appartenente al Genio o agli arsenali quali: Bindermeister (cerchiatori); Pulverhüter (guarda polveri); Schlossermeister (fabbro dei serramenti). Durante la guerra contro i turchi si
trovano menzionati nei ruoli anche un Kriegsbuch-halter (ragioniere di guerra), un Comiss-Metzger (macellaio d’ordinanza) un Comiss-Bäck und Müller (fornaio e mugnaio d’ordinanza) e un Kroater-fahnrich, al quale, con un manipolo di cavalleggeri croati, spettava il compito di formare la scorta del treno
d’artiglieria. I conducenti e tutti gli animali da tiro erano reclutati mediante appalto con fornitori privati.
Nell’esercito imperiale l’artiglieria si divideva in due categorie: da campagna (Feldstücke) e da posizione (Batteriestücke), comprendente quest’ultima anche l’artiglieria stabile da fortezza. Questa distinzione non sempre era mantenuta, poiché in campagna si faceva uso di entrambe, ma quando si parla di Feldstücke si intendono soprattutto i cannoni da 12 a 6 libbre e i pezzi reggimentali da 2 o 3 libbre.
A partire dal 1657 tutte le bocche da fuoco imperiali ve ivano fuse e lavorate a Vienna nell'arsenale di
Seilerstätte, più o meno negli stessi anni furono definiti anche i modelli, i calibri e le principali varietà di munizionamento. La suddivisione seguiva genericamente la lunghezza della canna in rapporto al
calibro; così i pezzi col rapporto minore erano i Kartaune (cannoni), seguiti dai più lunghi Feldschlange (colubrine) e per ultimi i piccoli pezzi da posizione o le spingarde da spalto. La classificazione delle bocche da fuoco più comuni alla metà del XVII secolo è riassunta in questa tabella:

Alla battaglia di Szent Gotthard gli Imperiali schierarono 24 pezzi da campagna in bronzo di calibri compresi fra 12 e 8 libbre; il totale del personale assommava a circa 400 uomini, compresi i conducenti.


In genere l’abbigliamento degli artiglieri non sottostava a quelle regole di uniformità che si stavano introducendo nelle altre armi. Anche in area austriaca gli artiglieri, più esposti al rischio derivante dal fuoco e dal maneggio ravvicinato dei pezzi indossavano, come protezione giubbe di cuoio e talvolta anche grembiali di pelle. In ogni caso, almeno giudicando dall’iconografia esistente, esistevano pochissime differenze fra la normale tenuta civile e quella “militare” dei membri del corpo, fatta eccezione per una tracolla per la spada e una per gli accessori da artigliere. Se non esistevano regole prestabilite sull’abbigliamento e l’equipaggiamento degli uomini, viceversa per tutti i pezzi d’artiglieria di proprietà imperiale si osservavano disposizioni specifiche circa il colore degli affusti, le finiture degli accessori e le decorazioni delle volate. Tutti i pezzi d’artiglieria fusi in Austria recavano in rilievo lo stemma con l’aquila bicipite e il motto CONSILIO ET INDUSTRIA in prossimità della culatta, mentre più vicino alla bocca un nome o una figura allegorica identificavano il pezzo. Era abbastanza comune accompagnare il nome augurale con qualche altro motto o figura retorica. Su una colubrina da 2 libbre fusa alla fine del Seicento era incisa a spirale sulla canna l’iscrizione will niemand singen; sing aber ich über Berg und Thal, hört man mich! (nessuno vuol cantare; ma canto io per monti, e valli e mi si sente!). Anche gli affusti erano decorati in modo da riconoscere l’appartenenza all’esercito imperiale, pertanto tutte le parti in legno si dipingevano di nero, mentre le bandelle e gli accessori metallici erano rossi. Solo le ruote, considerata l’usura, rimanevano di norma del colore naturale; tuttavia, specie nelle batterie stabili, si dipingevano come gli affusti. 
di creare uno schermo di protezione sufficientemente flessibile e un’efficace copertura al resto.

Viertel Kartaune (cannone da 12 libbre)
nella seconda metà del XVII secolo gli affusti delle artiglierie imperiali erano dipinti di nero e di rosso; L’uso del
giallo e del nero venne introdotto solo dopo il 1720.

 

Kurassier Trompeter, 1664
Prima ancora che i soldati comuni, le prime prescrizioni sull’adozione di un abbigliamento specifico riguardarono i musicanti dei reggimenti. Mutuate da quelle dei paggi e degli araldi del medioevo e del rinascimento, le livree conobbero una grande fioritura anche nell’età barocca. Anche se non è del tutto certo, l’adozione da parte dei trombettieri e dei timballieri dei corazzieri imperiali del caratteristico copricapo a stocco avvenne negli anni della Türkenkrieg del 1663-64, e imitava il tipico kavuk turco attorno al quale si arrotolava il turbante.
(ricostruzione da un illustrazione di K.A. Wilke, per la rivista 1683, die Mölkerbastei)

 

Organici Reggimentali


Nella guerra del 1660-64 un reggimento di corazzieri imperiali risultava formato da 10 compagnie; a
ogni squadrone si assegnavano 2 compagnie.


Lo stato maggiore di una compagnia era così composto:
1 Rittermeister (capitano)
1 Lieutenant (tenente)
1 Kornett (cornetta)
1 Wachtmeister (brigadiere)
1 Trompeter (trombettiere)
3 Korporalen (caporali)
89 Einspännigen (comuni)


Nei ruoli dei non combattenti erano iscritti anche 1 Fourier (furiere), 1 Musterschreiber (scrivano del
ruolo), 1 Sattler (sellaio) e 1 Schmied (fabbro).


Questo era lo stato maggiore reggimentale:
1 Obrist Inhaber oppure Obrist Kommandant (colonnello proprietario o comandante)
1 Obrist-Lieutenant (luogotenente colonnello)
1 Obrist-Wachtmeister (maggiore)
1 Pauker (timpanista)
1 Auditor (uditore)
1 Regimentschirurg (chirurgo)
1 Profoss (prevosto)


Complessivamente un reggimento di corazzieri a pieno organico ascendeva a 1.018 uomini con 977
cavalli.


I dragoni avevano lo stesso numero di compagnie dei reggimenti di corazzieri, ma l’organico era
di 79 Gemeine Dragoner. I gradi erano i medesimi in uso nei corazzieri, ma con 1 Hauptmann (capitano) al
posto del Rittermeister; 1
F
ähnrich al posto del Kornet , 1 Pfeiffer (piffero, ma più spesso un oboista) e 1
Tambour (tamburo) invece del Trompeter e infine 1 Feldwebel (sergente) in luogo del Wachtmeister. Nello

stato maggiore reggimentale dei dragoni non figuravano  l’Auditor e il Pauker.


Dragoner Gemeiner, ca. 1660
In base all’iconografia esistente e alle ricostruzioni contemporanee, in quegli anni i dragoni imperiali erano in maggioranza vestiti con giubbe di colore giallo o grigio. Purtroppo nessuna informazione ci ragguaglia su quale delle unità impiegasse l’uno o l’altro colore. Non è tuttavia improbabile che nei reggimenti di dragoni la completa uniformità di abbigliamento fosse ancora lontana dall’essere raggiunta.
(Ricostruzione da un illustrazione di K.A. Wilke, per la rivista 1683, die Mölkerbastei)


Un particolare di un dipinto attribuito a Jakob Duck in cui si mostra l’abbigliamento fuori ordinanza della cavalleria negli anni fra il 1660 e il 1665.
(museo delle Belle Arti – Budapest)

Mentre nessuna insegna di fanteria risalente agli anni della guerra del 1660-64 è giunta intatta ai giorni nostri, fino a qualche anno fa era ancora esposto allo Heeresgeschichtliches Museum di Vienna uno stendardo appartenuto al reggimento corazzieri Piccolomini. Purtroppo il verso dello stendardo era completamente rovinato e non permetteva di identificare cosa vi fosse raffigurato. Il colore di fondo della seta, bianco, suggerisce trattarsi di un’insegna colonnella. L’immagine della Madonna in assunzione, tipica dei Leib-Standarde imperiali, fu introdotta solo dopo il 1683. Nel 1659 questo reggimento passò al conte Enea Silvio Caprara e pur partecipando alla guerra contro i turchi, non fu presente alla battaglia di Szent-Gotthard.

- Cronologia dei principali avvenimenti dal 1662 al 1663.

             
                                                                                                                                                    1662
22 gennaio: gli ottomani guidati da Kucsuk Mehmed Beg assediano Nagyszöllös e sconfiggono il corpo di soccorso transilvano; durante lo scontro Janos Kemény - il pretendente sostenuto da Vienna - viene mortalmente ferito. 

Febbraio: a seguito alla morte di Kemény sorgono contrasti presso il comando imperiale; il palatino d’Ungheria, Miklos Zrinyi contesta l’operato di Montecuccoli, innescando una polemica destinata a durare per due anni.
Marzo: la peste colpisce il nordest della Transilvania.Mmarzo/aprile: a causa delle difficoltà di rifornimento e per l’aggravarsi dell’epidemia di peste, le guarnigioni imperiali abbandonano le fortezze della Transilvania ancora in loro possesso.
Estate-autunno: il gran-principe Apafy riprende possesso della totalità dei comitati transilvani.


                                                                                                                                                     1663
Marzo: il gran visir Köprülü Ahmed ordina l’inizio dei preparativi di guerra contro l’Austria.
30 giugno: agli ordine del gran visir l’armata turca si raduna a Buda, forte di oltre 100.000 uomini.
7 agosto: le avanguardie ottomane sconfiggono un corpo imperiale a Párkany.
12 agosto: Kucsuk Mehmed, beg di Jeno, comandante del corpo ottomano in Transilvania si ricongiunge con l’armata principale.
13 agosto: incursione dei Turchi contro la fortezza di Uj-Zrinyivàr.
6 agosto: il gran visr Köprülü Ahmed assedia la città di Ersekujvár, difesa dal generale Adam Forgach con soli 3.500 uomini.
30 settembre: dal campo di Gyor il generale Montecuccoli ordina la ritirata dell’armata imperiale su Pressburg, sede della dieta ungherese; avanzata dei Turchi verso nord.
2 settembre: scorreria dei tatari in Moravia.
11 ottobre: offensiva del bano di Croazia Miklos Zrynyi contro i turchi presso Karolyváros (comitato di Zagabria).
18 ottobre: i Turchi conquistano la fortezza di Nyitra.
28 ottobre: il gran visir guida l’armata principale a Belgrado per i quartieri d’inverno.
Autunno: truppe francesi e tedesche dalla Baviera, dalla Svevia, e dalla Sassonia giungono in Ungheria come rinforzi per l’imperatore.
2 novembre: la fortezza di Nograd si arrende ai turchi dopo 27 giorni di assedio 
27 novembre: il bano Miklos Zrynyi sconfigge un corpo di cavalleria

turco-tatara nei pressi di Sziget

Fine della seconda parte.

Le Mie Tre Vite

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